Le Pinturas Negras di Goya

Avete mai compiuto un viaggio alla ricerca di un preciso elemento, qualcosa che sapete di aver bisogno di vedere per comprendere meglio le cose? Siete mai andati alla ricerca di una precisa sensazione? Qualcosa oltre all’alcool e alle droghe? Se non l’avete fatto, un giorno vi capiterà. Vi sveglierete e avrete un movimento nelle budella diverso dalla peristalsi. Se non è l’inizio di una malattia gastrica, allora è il segno di una nuova risoluzione. Sarete turbati e irrequieti, e sarà fantastico. E se posso darvi un consiglio per poter afferrare questa elettricità e iniziare a sfruttarla, andate a Madrid al museo del Prado.

La sala numero 67 del museo contiene una serie di 14 opere dipinte da Francisco de Goya y Lucientes, passate alla storia dell’arte con il nome di Pinturas Negras (Pitture Nere). Il nome attribuito dagli storici deriva dall’utilizzo marcato dei colori bui, terrei, con una buona presenza di sfondi, ombre e contorni neri. Le opere furono dipinte tra il 1820 e il 1823 sulle pareti della casa in cui risiedeva Goya in quegli anni, soprannominata più tardi “La Quinta del Sordo”, per via dell’avanzata sordità del pittore, ormai anziano e ammalato. Sette opere si trovavano nella sala al piano terra (Saturno, Judith e Holofernes, La Leocadia, Due vecchi, Due vecchi che mangiano, Aquelarre, Pellegrinaggio a San Isidro) e le altre sette al piano di sopra (Due giovani che ridono di un uomo, La Lettura, Duello a bastonate, Il Santo Ufficio, Le Parche, Asmodea, Un cane). I titoli sono stati attribuiti in seguito dagli storici, pertanto sono variabili.

La casa era stata acquistata nel 1819, e si trovava nella periferia di Madrid, vicino al fiume Manzanares. Nel 1824 Goya si trasferì a Bordeaux, lasciando la casa al nipote, e morirà nel 1828. La Quinta passerà in mano a vari proprietari, tra cui il barone Frédéric Émile d’Erlanger, che nel 1873 incarica il restauratore Salvador Martinez Cubells di trasferire su tela i dipinti murali. Nel 1878 le Pinturas Negras vengono presentate per la prima volta all’Esposizione Internazionale di Parigi, dove però ottengono poco successo, criticate di troppa modernità. Nel 1881 il barone cede tutte le opere allo stato spagnolo. La Quinta verrà demolita intorno al 1913.

Perché è importante vedere le Pinturas Negras?

Perché Goya non le ha mai create con l’intento di mostrarle al pubblico. Certo, detto così sembra una cosa cafona, e magari Francisco sta bestemmiando dalla tomba verso ogni spettatore che entra nella sala 67 del Prado. Speriamo in un suo perdono.

Goya aveva intorno ai 75 anni quando creò la serie. Era anziano, malato e soprattutto turbato dall’avvicinarsi della morte e dalle possibili persecuzioni politiche. I suoi anni nella Quinta del Sordo sono l’inizio di una vita ritirata, circondato soltanto da pochi membri della famiglia. Ciò che ha dipinto sulle pareti della sua casa è pura espressione senza fini. Non ne ha mai parlato con nessuno, non ha mai citato in alcun scritto queste opere. Si potrebbe presumere che si tratti semplicemente di un tentativo di decorare la grande casa. Sotto gli attuali dipinti si trovavano già dei paesaggi tipici dei dintorni di Madrid, dipinti dallo stesso Goya, e in alcune opere si possono ancora intravedere. Il pittore ha creato qualcosa senza porsi un obiettivo, senza filtri, senza intendere o specificare dei significati e soprattutto, ha guardato dentro di sé e non più fuori.

Non sappiamo pertanto cosa ne pensasse lo stesso Goya. Non sappiamo le intenzioni, i significati precisi, non sappiamo se la serie fosse conclusa o meno. Il fatto di non aver pensato a un pubblico, significa che le opere non necessitano di una comprensione. Critici e storici dell’arte hanno avanzato mille ipotesi, confronti, fonti d’ispirazione. Ma la mancanza di qualsiasi elemento d’interpretazione, insieme al fatto che tutte le opere sono forti di un ermetismo impenetrabile, ci dona la libertà di superare le barriere simboliche e semplicemente, guardare. Ed è qui che si infrangono le barriere: nel momento in cui ci troviamo nella sala numero 67, circondati su otto lati dalle 14 opere, le opere osservano noi. L’impossibilità di non capire, ci concede la libertà di non doverlo fare. Ed è così che possiamo osservare le scene, i personaggi e il buio dietro di loro, e i cieli dai colori torbidi: in completo abbandono.

saturno
Saturno

Il pezzo più conosciuto al mondo è sicuramente Saturno. Il titolo dell’opera, come per tutte le altre, è stato attribuito in seguito alla morte del pittore, e il primo a farlo è stato tale Antonio Brugada nel 1828 durante un inventario. L’unico elemento che ci porta ad individuare la scena come appartenente al mito di Saturno che divora i suoi figli, è l’atto del cannibalismo. Il dio è privo della falce, suo attributo, e manca della malinconia con cui viene solito raffigurato. Non ha nessun tratto della grande potenza che un dio degli antichi tempi dovrebbe possedere, è un comune essere umano. Goya ha abbandonato la tradizione iconografica in tutte le Pinturas Negras: il punto focale è sempre il gesto, l’azione è l’unica cosa che debba essere percepita, non ci sono significati, né morali. Il pittore ha superato le regole della composizione, non si tratta di leggere una storia da sinistra a destra, non c’è causa ed effetto. Ha ottenuto un effetto di naturalismo scenico, siamo spettatori di scene reali, in medias res, e rischiamo di essere coinvolti in turpi azioni se ci avviciniamo troppo.

Se ci avviciniamo a Saturno disarmati di volontà analitiche, la scena che si presenta ai nostri occhi è talmente spaventosa da non poterla elaborare. È un atto disumano e bestiale. Abbiamo aperto la porta di una stanza proibita, siamo entrati in silenzio e nel buio abbiamo sorpreso un uomo che divora un giovane (una giovane?). E il punto focale del quadro è l’espressione di Saturno, che si tradisce davanti al nostro raccapriccio: egli è colpevole, sente il peso della sua azione turpe, nei suoi occhi si legge non solo la paura di essere stato scoperto, ma di essere stato sorpreso in quella precisa azione, egli stesso ne è orripilato. C’è la vergogna della suo atto, e forse qualcosa in più: la consapevolezza che per proteggersi dovrà divorare anche noi per impedirci di sovvertirlo. Nel momento in cui guardiamo Saturno negli occhi, non abbiamo scampo.

Goya nella serie ha dato vita a scene che sono osservabili nella realtà: ciò che vediamo non è più mitologia, abbiamo davanti un essere, che diventa mostro soltanto perché la crudeltà è troppa da poter essere compresa. In Saturno non c’è più il dio, ma un uomo, reso mostro dalla sua azione. L’azione è viva e reale, il mostro è vivo e reale.

judith
Judith y Holofernes

Judith e Holofernes presenta un’azione simile a quella di Saturno: un omicidio. Il titolo che è stato attribuito all’opera individua la fonte d’ispirazione di Goya (l’iconografia di Giuditta e Oloferne è molto vasta). Ma anche qui non si tratta più di raccontare la storia biblica e la sua morale religiosa: ci troviamo di fronte all’atto violento di Judith, e nient’altro conta, tanto che Holofernes è quasi del tutto assente dalla scena. Abbiamo sorpresa la fanciulla nel momento cruciale dell’azione, la mano armata alzata, il viso disteso in una dissonante serenità. È la climax del suo stato d’animo più aggressivo e crudele.

Sorge, qui come in tutte le altre opere, la totale impotenza che lo spettatore prova di fronte alle scene raffigurate. Nessun commento di razionale spiegazione può alleviare il turbamento che queste opere trasmettono dal vivo.

dos viejos.jpg
Dos viejos
la-lettura
La lectura

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due vecchi e La Lettura ci presentano due scene naturali, azioni che si possono vedere per strada o in una locanda. E tuttavia le tonalità dei colori e la disposizione delle persone crea tensione. Nella prima opera, è veramente un vecchio la figura a destra, che sussurra un mistero all’orecchio della grande figura? Il suo volto è più demoniaco che umano, la sua espressione contorta è innaturale. Sono possibili mille congetture, ma il fascino dell’opera sta nel dubbio e nella diffidenza che possiamo provare verso questo diavolo. Tendiamo l’orecchio ma non possiamo sentire nulla, anche se siamo così vicini ai due.

In La Lettura ritorna questa tensione: veniamo a sapere una notizia terribile? Sembrerebbe di sì osservando i volti in secondo piano, soprattutto la testa alta centrale con gli occhi rivolti al cielo, in una sorta di disperazione. Noi siamo presenti e ansiosi di sapere.

leocadia
La Leocadia
due-che-mangiano
Dos viejos comiendo

La Leocadia è forse l’opera più “serena”. Il ritratto di una fanciulla ben vestita, velata e con in viso un’espressione profondamente malinconica. I critici all’unanimità hanno identificato l’elemento d’appoggio in una tomba, un sepolcro interrato. Il ritratto sembrerebbe pertanto un momento di lutto, forse anche un memento mori. Considerando la paura della morte di Goya in quegli anni, lo spettatore si ritrova di fronte non più un ritratto, ma l’espressione di uno stato d’animo. È la silenziosa comprensione dell’avvicinarsi della fine.

Anche Due vecchi che mangiano (il titolo a volte continua con “zuppa”) è una scena naturale: due vecchi… che mangiano. E fin qua ci siamo. E la cosa finisce così. Non c’è molto da spiegare, ma sicuramente i personaggi sono più vicini all’aldilà che all’aldiqua. Demoniaci, scimmiesci, grotteschi, caricaturali. Immaginate di trovarveli davanti a cena, in una bettola poco illuminata. Anche la prospettiva non ci solleva l’animo, poiché sembra di essere proprio lì, seduti a tavola davanti a loro. Guai a fiatare.

il-masturbatore
Dos mujeres y un hombre

Due donne e un uomo attira molto l’attenzione. Anche qui, scena naturale. Un uomo e due donne che ridono di lui. Perché ridono? Quasi tutti i critici e addirittura dei dottori hanno affermato con certezza che l’uomo si stia masturbando. Guardare l’espressione del viso e la posizione delle mani. E anche qui, immaginare di essere di fronte, nella scena. Probabilmente rideremmo, un po’ per l’imbarazzo, un po’ perché in compagnia si ride di più. Ovviamente non c’è nulla da spiegare. Perché uno si masturba? Suvvia.

el-santo-oficio
El Santo Oficio 
la-romeria
La Romeria de San Isidro

Il Santo Ufficio è una scena ampia, una sagra religiosa. Potrebbe essere una scena tradizionale spagnola, all’epoca estremamente cattolica. Ma non c’è nulla di beato o santificato. Basta guardare i volti ravvicinati sulla destra: a dir poco angoscianti, in primis quello del personaggio religioso, il tale vestito di nero che poco onore fa alla sua casta.

Il Pellegrinaggio di San Isidro è simile: stesso ambiente, ma ancora più vicino alla natura delle persone rappresentate, gente povera, per lo più mendicanti , qualche signore in lontananza, una dama ben vestita. Se c’è una percezione di fede religiosa, probabilmente la sente chi è religioso. Il resto del mondo osserva i volti delle persone, scombussolate in smorfie caricaturali. A sottolineare le pene terrene c’è in primo piano il cantore cieco, sprofondato nella sua musica. Qui, come in quasi tutte le altre opere,non sappiamo che ora del giorno sia. Il tempo non esiste quando sei turbato.

aquelarre
El aquelarre o El gran cabron
duello
Duello a garrotazos

Aquelarre o Il grande capro (Aquelarre è il termine basco per “Sabba delle streghe”) è una meravigliosa scena di riunione stregonesca. A presenziare c’è il demonio in persona, il grande capro con un aiutante piuttosto orrendo. Il pubblico è eterogeneo, sia streghe che stregoni. Sulla destra una creatura forse ancora innocente, che attende di essere iniziata. Si possono percepire i bisbigli e la soggezione che incute il capo della riunione. Nessuno sembra però spaventato, anche perché tutti gli altri hanno già dato via l’anima. La soggezione la sentiamo noi, pubblico nascosto. Direte, dai questa roba non è una scena naturale, non esistono né streghe né demoni. Ma per difendere la questione dico solo: non esiste il dio Saturno, ma esistono le persone cannibale. Fate vobis.

Duello a colpi di mazze è invece una possibilissima scena reale, se non una vecchia tradizione (si spera obsoleta). Non importa cosa possa essere successo, siamo di fronte al clou di una contesa: due giovani stanno risolvendo una questione con violenza. Sicuramente qualcuno morirà, se non entrambi. È pura tensione e angoscia. Osserviamo in silenzio, lontani.

asmodea
Asmodea
parche
Las Parcas (Atropos)

Asmodea è una delle opere più misteriose. Sembra che possa essere interpretato come la storia biblica di Tobia, che sconfigge il demone Asmodeo grazie all’aiuto dell’angelo Raffaele. Forse Goya conosceva questa storia, forse si era documentato, fatto sta che contiene inesattezze di raffigurazione, o perlomeno non gli è importato di raffigurarla con esattezza. Il suo possibile significato non alleggerisce tuttavia il senso di estraniamento che comunica, siamo di nuovo spettatori inermi e all’oscuro di tutto. Accade un fatto inspiegabile e resta su di noi soltanto lo spavento e il tormento di non aver potuto agire in qualche modo. Due figure volano sopra di noi, due soldati puntano loro i fucili addosso, il resto del mondo sembra non accorgersene. Mettiamoci l’anima in pace e cerchiamo di ricordarci per sempre la scena.

Le Parche è un’opera molto vicina al mito rappresentato. Nel mito Cloto filava il filo della vita, Lachesi assegnava a ognuno il destino e la durata della vita e Atropo tagliava il filo. Qui Cloto cuce addirittura una pupattola a rappresentare la persona, Lachesi guarda in una lente o in uno specchio (simbolo del tempo) e Lachesi ha la forbice in mano. La figura in mezzo a loro potrebbe essere la persona il cui destino è in gioco. Sul viso un’espressione enigmatica, forse una serena rassegnazione alla morte, non ha più nulla da combattere. L’aspetto della scena sembra trasportarci in un non-luogo e in un non-tempo.

Si potrebbe fornire una spiegazione al perché in queste due opere le figure centrali sono in volo in un modo forse troppo plastico: potrebbe essere il caso di pitture sopra i cosiddetti paesaggi, dipinti da Goya sulle pareti della Quinta prima delle Pinturas Negras. Il pittore potrebbe averci dipinto sopra senza preoccuparsi di eventuali accordi armonici. Ovviamente tutte congetture.

perro
Perro semihundido

Siamo all’ultima opera, considerata la più ermetica. Un cane semiannegato, uno dei vari titoli affibbiati, contiene poco meno di un testa di cane, che spunta da una specie di muretto. Non è possibile indovinare che elemento o che luogo sia. La scena è del tutto spoglia. Alcuni storici mettono in dubbio che il dipinto sia finito. In concreto non si tratta neanche di una scena, tutto ciò che c’è da vedere è il muso del cane. Forse annega, forse chiede aiuto, forse chiede cibo. È una delle opere in cui il sentimento di impotenza è più forte, ci verrebbe da toccarlo, da sporgerci oltre per vedere cosa succede. È una sensazione penosa.

Tutte le opere sono intrinsecamente inspiegabili. Volumi su volumi di storici dell’arte e di critici hanno tentato di tirarne fuori qualcosa. È sicuramente affascinante ricercare un significato, come tentare di spiegare un mistero. Si cerca di mettere in collegamento miti, allegorie, influenze, simboli, opere precedenti, stili, ogni elemento che possa essere un indizio. Ma il punto è che in questa situazione, il pittore non ha reso conto di nulla, a nessuno. Ha trasportato su alcune superfici i suoi stati d’animo. E non ha senso tentare di dare un senso a uno stato d’animo, è pura percezione. Bisogna vedere, entrare nella sala 67 e tutto diventa comprensibile. Lo sentirete nelle budella.

[Tutte le immagini provengono da https://www.museodelprado.es/%5D
[Tutte le informazioni biografiche provengono dal volume Pinturas negras de Goya, di Valeriano Bozal, Ed. Machado Libros, Madrid, 2009]

Leave a comment