LA TESI AL TEMPO DELL’OLIVETTI – Intervista a Roberto Martelli

A cura di Martina Manzone

Negli ultimi anni si è visto il crescere di due reazioni contrapposte alla digitalizzazione impellente: una parte della popolazione, entusiasta delle conquiste della tecnologia, cresciuta con il digitale e fiera di esserlo, che pronostica con entusiasmo il declino della carta e la sopraffazione delle fonti online su quelle analogiche; un’altra parte, invece, che prova nostalgia per i tempi andati, quando non serviva lo smartphone per prenotare un biglietto, pagare il caffè o aprire la portiera della macchina e non rischiavi di rovinare una relazione per aver dimenticato il cellulare in bagno.

Indubbiamente, i lati positivi dell’analogico ci sono: lontano da cellulari e pc si usa meglio il proprio tempo, si ha maggiore consapevolezza di cosa si sta facendo e di come utilizzare i propri momenti di vita, aumenta la capacità di attenzione e la qualità dei rapporti umani, così come quella del sonno, mentre si riduce lo stress. Tuttavia, sotto molti aspetti, un’esistenza analogica al cento per cento non è più sostenibile, specialmente se si lavora nel settore della ricerca. Ci sono infatti alcuni aspetti della digitalizzazione che non vanno affatto demonizzati e che, anzi, veramente hanno migliorato la nostra qualità di vita e di lavoro. Un digitale che fa bene all’analogico.

Parliamo di questo argomento con Roberto Martelli, bibliotecario e slavista.

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Prima di tutto, Roberto, quando ti sei laureato e in cosa consisteva la tua ricerca?

«Mi sono laureato nel 1994 in lingua e letteratura polacca con una tesi intitolata “L’immagine della Sicilia in Zygmunt Krasiński”. Ho dovuto compiere ricerche in campo letterario sia sullo stesso Krasiński, sia sulla letteratura di viaggio in epoca romantica, con particolare riferimento a quella polacca. Inoltre ho dovuto tradurre per primo in italiano la prefazione a un’opera dello stesso autore che descriveva in chiave ironica uno di questi viaggiatori appartenenti alla szlachta, la nobiltà polacca: il protagonista, controvoglia e obbligato dalla moglie, che doveva affrontare il viaggio in quanto nobile, si è trovato di fronte a Monreale; non aveva grandi interessi artistici o culturali e certamente non capiva bene cosa stava osservando, ma almeno il viaggio lo aveva fatto!»

Materialmente, quali difficoltà tecniche hai affrontato? Con il pc sarebbe stato differente?

«Le difficoltà tecniche erano legate al reperimento del materiale cartaceo. Per scrivere la tesi sono stato personalmente in varie biblioteche di Varsavia, di Cracovia e di Roma. Con il pc sarebbe stato tutto molto più facile: attraverso strumenti come il catalogo nazionale OPAC avrei trovato subito quali biblioteche possedevano i testi che mi servivano – all’epoca, invece, spesso occorreva andare a tentoni e sperare che un’altra biblioteca, non ancora setacciata, avesse il materiale che cercavo. Per fortuna, la mia relatrice era ed è una persona squisita e si è data da fare, telefonando in Polonia ai suoi colleghi, per aiutarmi a capire in quale specifica biblioteca avrei trovato quel particolare documento.
Ma le difficoltà non finivano qua: in casa non avevamo alcun computer. Mio zio ne possedeva uno e mi recavo da lui a scrivere i vari capitoli. Poi però bisognava stampare e andare a Torino a consegnarli a mano alla docente, nonché tornare a ritirarli una volta corretti. Altro che e-mail e posta elettronica! Quando si trattò di battere la stesura definitiva mi affidai a una cugina di mia mamma che possedeva il computer, che, miracolo, oltre a stampare, salvava tutto su floppy-disk! Si presentava però un problema non da poco: la lingua polacca è piena zeppa di segni diacritici, accenti e cediglie varie. Io adesso vi scrivo ą – ę – ć – ź – ń – ć – ł semplicemente cliccando su “inserisci simbolo”, allora invece si scrivevano le lettere in italiano e poi, a biro, si rileggeva tutto mettendo i segni diacritici sulla copia.»

In assenza di internet per la consultazione dei cataloghi e per la corrispondenza veloce, in che modo hai ottenuto i materiali bibliografici?

«É chiaro che il prestito inter-bibliotecario mi avrebbe risolto non pochi problemi: avrei evitato viaggi, spese e, talvolta, ore e giorni persi a fotocopiare o ricopiare documenti che avrei poi svolto e letto con calma una volta tornato a casa. Per carità, conservo bellissimi ricordi di queste avventure in giro per l’Europa, ma il costo di tali viaggi e degli alloggiamenti ha inciso parecchio sul budget familiare. Per pagare di meno prendevo il treno: 28 ore per arrivare a Varsavia da Cuneo, con cambi a Torino, Venezia e Vienna! La Polonia poi non era dietro l’angolo: non bisognava dimenticarsi nulla di ciò che andava visionato ed essere molto organizzati, perché una volta rientrati in Italia, se qualcosa si era perso per strada, era difficile da reperire. I voli low cost non c’erano: magari si poteva fare richiesta alla biblioteca, che l’indirizzo e-mail nemmeno ce l’aveva, attraverso telefonate o fax, con conseguente allungamento della tempistica. Senza contare che allora si viaggiava ancora con il passaporto in Polonia, senza più visto per fortuna (cosa che avevo ancora dovuto richiedere al Consolato di Milano –  che si trovava a Opera e non in Milano centro nel 1990-1991!). Inoltre, cosa non da poco per noi maschietti, essendoci ancora il servizio militare, ogni anno occorreva andare fisicamente prima in segreteria a farsi rilasciare un documento con gli esami sostenuti, poi si andava al Distretto a richiedere il rinvio alla chiamata per motivi di studio e una volta ottenuto quello si andava in Questura a farsi rilasciare, anno per anno, il passaporto con la nuova validità.»

Cosa pensi dei nuovi mezzi di ricerca e del modo di fare ricerca dei nuovi laureandi?

«Internet, usato con sapienza e maestria, ha aperto un mondo e un nuovo modo di fare ricerca: oggi trovi libri, documenti, riviste e giornali digitalizzati ed è senza dubbio tutto più semplice. Ricercare non è più un problema: Internet Archive, Gallica, Polona, Anno Zeitung sono un esempio di motori di ricerca fantastici che permettono di trovare in un paio di minuti ciò che è conservato nella biblioteca o in un museo di quella specifica località. OPAC o il Karlsruher Virtueller Katalog ti dicono dove puoi trovare quel documento: magari non lo trovi digitalizzato, ma con una semplice mail richiedi di fartene una scansione. Esistono poi i prestiti nazionali ed internazionali, cosa che allora non aveva ancora preso piede.»

Hai nostalgia del periodo analogico o preferisci l’era digitale? Qual è il tuo rapporto con la tecnologia oggi?

«Preferisco, senza dubbio, l’era digitale, che mi permette avere a portata di mano una quantità di fonti prima impensabile. Me ne servo tuttora per scrivere libri e articoli. Convengo tuttavia che ho sempre un po’ di allergia nei confronti delle nuove tecnologie, dovuta principalmente al fatto che non sono la mia passione. Per fortuna o per sfortuna, nell’ambito del mio lavoro mi devo, gioco forza, tenere aggiornato.
Dell’era analogica rimpiango quella tipologia di ricerca un po’ alla Indiana Jones, quando recuperavi un volume solitario e pieno di polvere, ma che conteneva l’informazione che cercavi: quel tipo di soddisfazione e di gioia, di fronte ad un PC, non l’ho mai più provata.»

Pensi che per uno studente dell’era digitale sia ancora importante andare sul luogo, nonostante sia possibile la ricerca online?

«Ritengo che, ancora oggi, lo studente (ma chiunque) che voglia fare una ricerca per bene debba, nonostante tutto, recarsi a visionare il materiale e i documenti sempre in loco. Internet facilita tutto questo e abbrevia i tempi, ma quella che definisco “ricerca sul campo” è sempre importante: non fosse altro perché, spesso e volentieri, vicino al volume che si sta cercando se ne riesce sempre a trovare un altro che arricchisce lo studio: davanti ad un Pc questo non è quasi mai possibile!»

 

Roberto Martelli  Nasce a Cuneo nell’autunno del 1969. Dopo la maturità classica, intraprende gli studi di slavistica all’Università di Torino. Appassionato e cultore di varie lingue, oltre che di filologia slava e ugro-finnica, ora lavora come bibliotecario presso la Biblioteca civica di Cuneo e insegna presso l’UniTre, l’università della terza età. Nel 2012 collabora alla stesura di un volume intitolato I Polacchi a Cuneo nel 1862, Ed. Nerosubianco. Attualmente si dedica a nuove ricerche su una legione ungherese ospitata a Cuneo nel 1863, ai campi di prigionia in provincia di Cuneo durante la Prima Guerra Mondiale e al commento a Le donne polacche, un’opera teatrale pubblicata a Pisa nel 1864 da Tripplin. Sta inoltre collaborando alla nuova edizione dell’annuale “Rendiconti” della Biblioteca civica di Cuneo, della cui redazione fa parte ormai da anni.

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